Palazzo Trevisan, il sonno delle cose belle
Lo sgombero di un’antica vetreria sull’isola di Murano si trasforma in un imprevedibile viaggio onirico.
Lo sgombero di un’antica vetreria sull’isola di Murano si trasforma in un imprevedibile viaggio onirico.
Riccardo Benedini Gennaio 2022Venezia raccontata attraverso gli oggetti che vi abitano. Tre amici accomunati dalla passione per l’arte ed il design riportano alla luce vecchie storie disseminate nei luoghi più segreti della città. Come “meraviglie vive” in un fondale marino, le storie di Venice Objects assomigliano a gusci variopinti in epoche diverse, nell’eterna attesa che il loro segreto si rinnovi. Certi oggetti appartengono solo a coloro che cercano disperatamente.
“Ho trovato più bellezza nell’edera che abbracciava questa antica vetreria in rovina, che in nessun altro luogo della mia vita. Il giorno del nostro arrivo, mi sono chinato e ho raccolto una manciata di frammenti di vetro. Ho pensato che potevamo partire proprio da qui, assieme. Ce li siamo passati come piccole promesse di meraviglia tra le mani e ne è nato un sogno. Siamo legati a questo luogo, perché vi abbiamo trovato una luce”.
Con queste parole Riccardo Benedini ricorda il suo primo giorno a Palazzo Trevisan dove, assieme agli architetti Jacopo Tiso e Chiara Paone, inaugura – nella primavera del 2016 –Venice Objects; questa realtà, grazie al suo team di creativi, da più di sei anni entra nelle dimore e nei luoghi più segreti e suggestivi della laguna alla ricerca di oggetti dalla storia unica.
A chiunque osi oggi affermare che la bellezza appartiene solo alle cose che svelano il proprio mantra sotto la luce del sole, questi esploratori moderni rispondono con una romantica provocazione:
“La realtà di oggi ci giunge talmente distillata che l’abitudine al bello rischia di sostituirsi completamente alla ricerca dello stesso. Ma davvero non esiste più chi va in cerca di favole?”
La favola di Venice Objects ha inizio nell’oscuro androne di Palazo Trevisan, le cui sonnolenti rovine sovrastano l’Isola di Murano, lungo Fondamenta Navagero, esattamente di fronte al Museo del Vetro.
Il portale di ingresso di quella che è stata, nella storia più recente, una delle vetrerie più note del panorama italiano, oggi è così scrostato da sembrare un mare grigio-verde agitato, su cui due teste di leoni arrugginiti dalla salsedine si ergono come saggi guardiani. Nonostante l’incuria della sua facciata – una volta ricoperta da affreschi di Prospero Bresciano – Richard Goy, in una guida architettonica di Venezia, definì questo luogo come “il più notevole palazzo rinascimentale di Murano”.
“La riapertura improvvisa di Palazzo Trevisan ha destato talmente stupore e curiosità tra gli isolani che non passava giorno senza che qualche anziano sconosciuto bussasse alla porta per offrirci la sua personale versione della storia”
L’edificio fu costruito tra il 1555 e il 1558 da Camillo Trevisan, illustre uomo di leggi, proveniente da una nota famiglia del patriziato veneziano il quale, per l’impresa, si ispirò ad un disegno dell’umanista e mecenate del Palladio, Daniele Barbaro. L’opera venne eretta nella vecchia corte ereditata dalla zia Orsa Trevisan, in una zona dell’isola piena di pace perché ricca di frutteti e lambita dalle acque della laguna. Camillo Trevisan, per l’impresa, chiamò i più grandi talenti dell’epoca: Prospero Bresciano, il Vittoria, Francesco da Salò, Giovanni Battista Zelotti, Battista del Moro ed il famosissimo Paolo Veronese, di cui l’edificio conserva ancora gli affreschi nelle volte del piano nobile.
Il palazzo diventò ben presto un monumento solenne di bellezza in tutta la Serenissima Repubblica di Venezia. Come testimoniano alcuni sonetti di poeti del tempo, i suoi giardini erano maestosi e ospitavano banchetti lussuosi, ricchi di maioliche e preziosi calici di vetro appena usciti dalle fornaci dell’isola. Le sue sale, ricche di arazzi e dipinti, videro l’affluenza degli uomini più illustri di quel tempo, tra cui Pietro Zane, Giorgio Gradenigo, Luigi Stangai, il Verdizzotti, Pietro Badoer e molti altri. Dopo la morte del fondatore Camillo Trevisan, il palazzo ebbe tuttavia una storia molto varia e travagliata: nel 1797, a seguito della caduta della Repubblica di Venezia, le truppe napoleoniche depredarono il palazzo di tutte le sue statue ed opere d’arte. Tra le più famose, “Le Sette Divinità Planetarie” di Paolo Veronese, conosciuta anche come “Trionfo degli Dei”, è oggi esposta presso il Museo del Louvre di Parigi.
Palazzo Trevisan con gli affreschi di Prospero Bresciano
“Nel marzo del 2016, non eravamo a conoscenza di tutte queste antiche vicende, ma la quasi totale assenza di statue era compensata da una infinità di oggetti in vetro dalle forme bizzarre e fantasiose, dispersi in ogni meandro dell’edificio. Quel luogo era germogliato nuovamente e noi eravamo li per raccontarlo.” A Palazzo Trevisan, invero, i tre fondatori di Venice Objects erano capitati quasi per caso: “Ci accompagnò lo studio d’architettura perché necessitava del nostro aiuto per fotografare alcuni spazi. In quel periodo i proprietari erano alla ricerca di una soluzione per sgomberare velocemente tutti i locali e pur di aver le chiavi di quella meraviglia, avanzammo una proposta a scatola chiusa per acquistare tutto quello che vi era contenuto. Non ci saremmo mai aspettati che accettassero la nostra offerta”.
Il capriccio fantasioso dei tre amici diventa presto un progetto titanico che, per ben otto mesi, coinvolge una squadra di dieci persone che si alternano, a gruppi di quattro, tra lavori di fotografia, catalogazione, imballaggio e trasporto. Un viaggio lento e suggestivo che riporta alla luce, sala dopo sala, più di duecento anni di storia muranese forgiati da un’anima incandescente: il vetro.
Ebbene si, questa materia magica e al contempo fragile, era divenuta improvvisamente, sul finire dell’ottocento, la vera ed unica abitante del palazzo, trasformando la bucolica dimora di Camillo Trevisan in un centro di produzione vetraia tra i più fiorenti e rinomati del tempo. Le spoglie dei suoi antichi giardini pensili avevano lasciato posto ad un enorme fabbrica moderna con più di trentacinque forni, sale espositive, magazzini ed un meraviglioso porto privato coperto per il carico e scarico delle merci.
“La parte più complessa da sgomberare riguardava proprio i vecchi e traballanti laboratori in legno dei maestri vetrai. Qui la natura aveva ripreso possesso del suo ambiente, attorcigliando oggetti e mobili in spirali suggestive di rami verdi che avevano finito per trasformare il vecchio porto adiacente in uno spazio onirico dove vi si poteva trovare qualsiasi genere di cosa: casse di legno ricolme di tappi, foglie in vetro di tutte le specie, mani e gambe di sculture mai terminate, componenti di lampadari e fontane, disegni preparatori, fotografie, lettere d’amore. Non c’era veramente nulla di prevedibile.”
Il video documento realizzato da Venice Objects cerca di trasmettere le atmosfere nostalgiche che accompagnano ogni momento dell’esplorazione all’interno del corpo più antico dell’edificio dove, tra le due guerre mondiali, erano state murate intere stanze, varchi e scalinate.
“Dietro la carta da parati e pannelli in legno, abbiamo trovato porte che nemmeno gli ultimi proprietari avevano mai visto in vita loro. Aprirle assieme è stato commovente. Un giorno abbiamo addirittura scoperto un intero scantinato pieno di palline di Natale dei primi del Novecento”.
Durante l’intero arco dei lavori, le due suggestive salette ovali del palazzo vengono trasformate in provvisori uffici di catalogazione dove, al tramontare di ogni giorno, il riflesso di una laguna dorata trasforma gli oggetti non ancora imballati del piano nobile in variopinte ombre danzanti tra le volte affrescate del Veronese. Speculare, una saletta di identica fattezza al piano terra è decorata con motivi simbolisti e riporta, appesi ai lati estremi, due piccoli ed anneriti specchi convergenti verso il centro. Additata da alcuni come leggendario ritrovo di sedute spiritiche, la sala si affaccia oggi su di un minuscolo cortile composto da due grandi colonne che formano una sorta di loggiato, un tempo finemente vetrato, che sovrasta il corpo basso della fabbrica che si estende fino al mare. Un’austera cancellata di sette metri, realizzata da Umberto Bellotto, racconta infine l’antica vita della fornace attraverso i suoi pannelli decorativi in ferro battuto, mentre file di perle vitree fungono da drappeggio ad un pavone dalle lunghe piume ricurve che si erge, consumato dalla pioggia di almeno un secolo, sulla sommità del cancello.
“Incartare tutti quei cimeli appartenenti ad epoche diverse ci appariva come una marcia romantica in cui passato e presente, dopo anni di lontananza, si riprendevano finalmente per mano e promettevano un nuovo futuro al proprio tesoro sepolto”.
Dagli scantinati alle soffitte, passando per gli importanti piani nobili, Palazzo Trevisan offre ai giovani esploratori il proprio impero di bicchieri, vasi, sculture, lampade ed oggetti d’arredo che, distolti dalla loro polverosa memoria, vengono riposti, come nuovi viaggiatori, nelle casse destinate alla terraferma.
Grazie alla preziosa collaborazione con il violoncellista veneziano Federico Toffano, Venice Objects regala a Palazzo Trevisan un ultimo ed intimo concerto prima della riconsegna delle chiavi ai legittimi proprietari. L’antico portone si richiude, per l’ultima volta, alle spalle di questo gruppo di amici nell’ottobre dello stesso anno dopo aver svuotato la bellezza di ben 10.000 mq di superficie, con un impiego totale di ventotto grandi barche da trasporto a doppio piano ed un equivalente numero di furgoni. Tutti gli oggetti recuperati in questa lunga e romantica avventura vengono infine battuti all’asta nel Natale del 2016, quando Venice Objects apre le porte del suo show-room vicentino ad un nutrito gruppo di antiquari, collezionisti, arredatori o semplici appassionati, ciascuno alla ricerca di un pezzetto di favola moderna. La fotografa Anna Ghiraldini mette a disposizione alcuni dei suoi migliori scatti per documentare la folle impresa di questo gruppo sognatori.
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